martedì 20 febbraio 2024

Vertigine di Franck Thilliez

 


Vertigine di Franck Thilliez



Alcuni segreti vanno tenuti nascosti, ma saremmo disposti a morire purché non vengano mai svelati?

Jonathan Touvier, ex alpinista cinquantenne, si risveglia intontito e non sa dove si trova. Attorno a lui soltanto buio, umidità, freddo. È finito in fondo a una grotta e non ha idea di come sia successo. Non è solo. Insieme a lui ci sono il suo fedele cane Pokhara e due sconosciuti: Farid, giovane di origini maghrebine, e Michel, uomo di mezza età che lavora in un macello. Jonathan è incatenato al polso, Farid alla caviglia; Michel è libero, ma la sua testa è coperta da una spaventosa maschera di ferro, che esploderà se si allontana dagli altri due.

Sulla schiena hanno tre biglietti con altrettante domande: «Chi sarà il ladro?», «Chi sarà il bugiardo?», «Chi sarà l’omicida?».

Qualcuno sta giocando con loro, e ha tessuto con cura una ragnatela inestricabile per intrappolarli. Chi è? E perché l’ha fatto?

Ben presto, però, la domanda più urgente diventerà un’altra: fino a che punto si può arrivare per non soccombere in una situazione così estrema?

Se la natura può rivelarsi un’assassina spietata, l’uomo può trasformarsi in un predatore senza scrupoli: tra menzogne e mezze verità, scatta una disperata lotta per la sopravvivenza, da affrontare con ogni mezzo e strategia possibile.
Vertigine, l’ultimo romanzo del maestro del thriller Franck Thilliez, è una crudele dissezione dell’animo umano messo di fronte al pericolo, in cui il lettore verrà manipolato fino all’ultima riga, e forse anche oltre.

                                              Recensione

“Mi sento di nuovo vivo. tra un paio di minuti al massimo solleverò i miei settanta chili da terra e potrò capire cosa mi è successo. Ma, d’un tratto, un nuovo rumore mi pietrifica. Un tintinnio, non appena muovo il polso. Mi tiro su, alla cieca, attraversato dalle vertigini, e tasto con l’altra mano. Un cerchio ruvido mi stritola il polso destro. Per quanto stupido e irreale possa sembrare, credo di essere incatenato.”


Chi come me legge tanti romanzi thriller non può non aver letto almeno uno dei libri di Franck Thilliez, il genio francese del thriller.

In Italia sono stati pubblicati suoi numerosi romanzi, tra cui la famosa trilogia, composta da Il manoscritto (2019), C’era due volte (2021) e Labirinti (2023), Il sogno (2020), Puzzle (2022) e, infine, Vertigine (2023) – tutti pubblicati da Fazi Editore.

Ma andiamo a vedere l’anno di pubblicazione dei suoi libri in lingua originale.

Vertigine è del 2011, Puzzle del 2013, Il sogno del 2016.


È del tutto evidente, quindi, che la scelta editoriale in Italia non è stata quella di seguire la pubblicazione dei suoi romanzi in ordine cronologico.

E questo – lasciatemelo dire, soprattutto per un lettore forte – si sente e se ne risente.

Eh sì, perché leggere Vertigine dopo aver letto quel capolavoro di thriller che è la trilogia è un minus, è fare un passo indietro.

Detto questo, non voglio dire che Vertigine non mi sia piaciuto – Thilliez è sempre un ottimo intrattenitore con le parole – tuttavia, non mi ha entusiasmato.

Ma veniamo al romanzo: Vertigine

Jonathan Touvier, il protagonista del libro, si risveglia incatenato ad un polso in una grotta buia, non vede niente, solo con l’aiuto di un casco da speleologo riesce a intravedere qualcosa.

Nella grotta, insieme a lui, ci sono il suo fedele cane Pokhara e altre due persone: Farid incatenato come lui, ma alla caviglia e Michel che è libero, ma la sua testa è coperta da una spaventosa maschera di ferro, che esploderà se si allontana dagli altri due.

Ognuno di loro ha sulla schiena un biglietto con una domanda: «Chi sarà il ladro?», «Chi sarà il bugiardo?», «Chi sarà l’omicida?».

Vi ricorda qualche film questo inizio di Vertigine?

Per i cinefili come me la mente è andata subito al film Saw – L’enigmista del 2004, diretto da James Wan, e non nego che, mentre leggevo le prime battute del libro, ero allibita per la banalità e la scopiazzatura palese da questo film! Ma andando avanti nella lettura, i continui flash-back, attraverso cui i tre personaggi rivelano agli altri la loro vita, e i dettagli che piano piano sono stati svelati hanno alzato notevolmente la mia attenzione.

C’è un’altra presenza inquietante in quel luogo da brividi: poco distante da loro si trova il cadavere di un uomo, per i tre uno sconosciuto.

Gli uomini si riuniscono in una tenda trovata lì vicino e cercano di comprendere qualcosa di questa incredibile situazione.

Nella tenda rossa ci sono pochissime cose all’interno: 2 sacchi a pelo, 2 asciugamani, 2 paia di guanti, un giradischi con due quarantacinque giri, una polaroid e un forziere con una combinazione di 6 numeri.

Cosa stanno facendo qui e perché?

Chi li incolpa?

Come uscire da questo abisso?

E perché proprio loro, che apparentemente non hanno nulla in comune?

In tutto ciò, i tre si trovano a fronteggiare difficoltà di sopravvivenza: le stalattiti crollano, le frane si accumulano, il freddo li trafigge e la fame li divora ma, comunque, lottano per sopravvivere.

Saranno costretti a gesti inimmaginabili, anche animaleschi pur di non morire.

SPOILER!

Arrivano addirittura a mangiarsi l’amato cane di Jonathan…

E qui abbiamo la seconda citazione di un film, tratto da una storia vera: Alive – sopravvissuti, film del 1993 con Ethan Hawk, basato sul disastro aereo delle Ande del 1972. La pellicola ha preso spunto dal libro di Piers Paul Read Tabù – La vera storia dei sopravvissuti delle Ande che racconta le vicissitudini di una squadra uruguaiana universitaria di rugby che il 13 ottobre 1972 in volo sul Fokker Fairchild FH-227D si schianta sulla cordigliera delle Ande, nel tentativo di raggiungere il Cile.

I sopravvissuti, dopo alcuni giorni in attesa dei soccorsi decidono, per non morire di fame, di cibarsi dei corpi dei loro compagni morti. Gli estremi sforzi compiuti dai 33 iniziali sopravvissuti, poi ridottisi a 16, verranno ricompensati dall’eroica impresa di Fernando Parrado e Roberto Canessa, i quali riescono ad attraversare le Ande e raggiungere il Cile, dove chiedono soccorso.

FINE SPOILER!


Quel che non si capisce è il perché siano in quella grotta e soprattutto se ci sia un fil rouge che li leghi tra loro – ovviamente tutto verrà svelato.

L’epilogo, come d’altronde tutti gli altri capitoli, si apre con una citazione.

Eh sì, perché ogni capitolo si apre con un estratto, più o meno breve, tratto da romanzi famosi o testi inventati ad hoc, ma, soprattutto, materiale redatto dal protagonista stesso – una lettera alla madre, per esempio, scritta durante la scalata dell’Everest; stralci di sue interviste realizzate durante il periodo in cui lavorava alla rivista “Extérieur”; suoi appunti o note.

Si tratta di introduzioni assolutamente a tema, sempre in linea con i contenuti e che possono fornire un ulteriore tipo di approfondimento dato che, neanche a dirlo, non sono selezionate né disposte a caso.

Ma torniamo all’epilogo.

Qui la citazione è particolarissima, perché reca la firma dello stesso Thilliez:

“Questo romanzo ha una sola soluzione.
E non è necessariamente quella che si crede.”

Il cerchio si chiude tra la prima citazione, che è tratta da Darkness, il romanzo scritto da Jonathan Thouvier, e l’ultima, che è una frase dello stesso Thilliez relativa al proprio romanzo.

Con questa citazione Thilliez vuole dire che l’epilogo contiene una soluzione diversa rispetto a quella che è stata prospettata finora oppure che la soluzione raccontata nell’Epilogo non è per forza quella corretta?

Concludo dicendo che tutto sommato è stata una lettura piacevole, soprattutto con il finale aperto e le frasi fittizie di introduzione ad ogni capitolo del libro; mentre non mi è molto piaciuto il fatto di avere la sensazione di aver letto qualcosa di già ‘visto’.

(Questo articolo potete trovarlo, insieme alle recensioni dei romanzi citati qui sopra, nel sito  ilRecensore.it)

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