domenica 12 giugno 2022

Recensione LE CASE DAI TETTI ROSSI di Alessandro Moscè - Fandando Libri

 

LE CASE DAI TETTI ROSSI | Alessandro Moscè | Fandando Libri| 187 pagine


In occasione della vendita della casa di nonna Altera e nonno Ernesto, Alessandro torna ai tetti rossi, ovvero la grande struttura dell’ex ospedale psichiatrico di Ancona, complesso di palazzine nel verde inaugurato a inizi Novecento e riconvertito dopo la Legge Basaglia del 1978.

Il distacco dalla casa dell’infanzia diventa per lui la soglia di un viaggio nel tempo, nei ricordi di quando ragazzino gironzolava intorno ai cancelli per vedere i matti, gli internati, di quando Ancona e le Marche tutte confinavano tra quelle mura chi non aveva retto alla Seconda guerra mondiale: le ex prostitute, gli ossessivi, i paranoici e semplici sbandati infliggendo loro privazioni e pene corporali.

A dare una svolta alla gestione dell’ospedale, sulla falsariga di Basaglia, Alessandro ricorda fu il dottor Lazzari, assistito da medici, da suor Germana e dal giardiniere Arduino, re dei fiori e delle piante medicinali.

Oggetto del loro tentativo di un ospedale più umano l’uomo-giraffa, il pirata, Franca che sogna i nazisti, Adele che non ricorda nulla se non Mussolini, Giordano che quando non colleziona bottoni pensa solo al Napoli calcio.


RECENSIONE
«Ancona aveva paura dei suoi matti e chi passava da quelle parti allungava il passo, non si girava, faceva gli scongiuri, chiudeva gli occhi. 
Ai bambini si proibiva di guardare i padiglioni e i pazienti che sbirciavano da una sbarra all’altra o tra le fessure del cancello d’entrata».


Immaginatevi una casa con i tetti rossi color del sangue, come se fosse una piccola città con centinaia di ospiti.

Qui ci abitavano barboni, malnutriti, ubriaconi, chi era tornato dalla guerra frastornato, chi non riusciva ad alzarsi dal letto, chi era nato straccu, chi aveva una deformazione fisica, i violenti, gli psicotici…

C’erano gli epilettici che cadevano a terra e a quel tempo le convulsioni erano sintomo di malattia mentale ereditata…

C’erano anche i fori de testa, gli schizofrenici, con lo sguardo fisso, l’orbita degli occhi sproporzionata e un fisico allungato, striminzito, lievitato…

Una piccola città fatta di matti…

Era il manicomio di Ancona.

In mezzo a loro ci sono i guardiani dell'ordine.

C'è Arduino, il giardiniere, il confidente e il consolatore di chi lo avvicina e a loro distribuisce - come se fosse una terapia - bouquet di fiori, rose rosse, mazzi di lavanda; dissemina i fiori freschi per terra lasciando una scia colorata dietro di sé.

Il Professore Guido Lazzari, Direttore del manicomio sulla falsariga di Basaglia, uomo dal grande carisma, «un signore di mezz’età con la fronte alta e spaziosa e pochi capelli in testa, con il riporto sul capo che partiva da sinistra. Indossava sempre giacca e cravatta. Un uomo serio, acuto, rivoluzionario nel senso migliore del termine».

Suor Germana che funge da caposala inflessibile ma con un animo gentile. 

Nazzareno, l’omino del padiglione degli innocui e degli addomesticati, con "un portamento da clown, una buona mimica facciale e la risata bonaria", che aiutava i malati, li imboccava, li faceva addormentare.

E poi ci sono Adele, Giordano, Marta, Osimo, Lucio....

Una galleria caleidoscopica di volti e storie.

Alessandro Moscè con il suo romanzo - definito come “Il racconto poetico e illuminante di un pezzo di storia del Novecento spesso dimenticato, una riflessione emozionante sulla follia, l’integrazione e la libertà” - ci fa sbirciare tramite i suoi ricordi dell'infanzia quando era solito guardare quei matti al di là delle inferriate e, attraverso il recupero di alcune cartelle cliniche degli anni Settanta e Ottanta, ci spalanca le porte su questo mondo alienato:

"I miei nonni materni abitavano nei pressi del manicomio di Ancona e ricordo quella struttura sin da quando ero bambino. Faccio mio il tema dell’alienazione mentale a partire dagli anni Sessanta immaginando di recuperare il diario di Arduino il giardiniere. Con un lavoro certosino ho rintracciato le vite di alcuni degenti e dipendenti del manicomio."


In mezzo alle storie degli internati, troviamo l’Inframezzo: teneri ricordi famigliari dell'autore, di quando trascorreva le vacanze estive con i nonni materni.

Fino al 1978 nei manicomi finiva chiunque venisse ritenuto «pericoloso a sé e a gli altri e di pubblico scandalo» come sanciva la legge del 1904.

Il 13 maggio 1978 la legge 180 ha significato una rivoluzione culturale che ha portato all'abolizione dell’istituzione manicomiale e ha restituito dignità e pieni diritti civili ai malati psichiatrici.

Ma cosa ne è oggi delle "case dai tetti rossi"?

"Negli anni, con l’avvento dei nuovi farmaci e la promulgazione della legge 180, la struttura ospedaliera diventò parte integrante della città, fino al punto che alcuni degenti riuscirono ad uscire e ad affrontare degnamente l’esistenza quotidiana. 

La narrazione è anche il racconto dell’amore, nonostante tutto, e del tentativo di ritrovare un’identità perduta.

Il luogo negli anni Duemila è stato trasformato in poliambulatori e ospita una caserma delle guardie forestali. 

La vita di quei soggetti reclusi, il tentativo di uscire da una condizione di isolamento, nonché i vecchi trattamenti sanitari subiti dai ricoverati, sono temi universali che consentono di capire quale grande rivoluzione fu attuata in Italia con l’introduzione della Legge Basaglia e con la chiusura dei manicomi, la più grande conquista sociale nata con il Sessantotto al pari dello Statuto dei Lavoratori. 

Il mio romanzo, dunque, ha anche uno sfondo di tipo sociologico".

🌟🌟🌟🌟


⏩ CONOSCIAMO L'AUTORE


Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. 

Si occupa di letteratura italiana. 

È presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. 

I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. 

Ha pubblicato saggi, curato antologie poetiche e romanzi. 

Si occupa di critica letteraria su vari giornali. 

Ha ideato il periodico di arte e letteratura Prospettiva e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”.


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